Report va all’attacco della piadina romagnola Igp: operazione industriale

Report va all’attacco della piadina romagnola Igp: operazione industriale

Sauro Rossini della fattoria “La Rondine” di Bagnacavallo si è beccato una multa da 4 mila euro perché ha osato vendere la sua piadina, davvero artigi

Sauro Rossini della fattoria “La Rondine” di Bagnacavallo si è beccato una multa da 4 mila euro perché ha osato vendere la sua piadina, davvero artigianale e tradizionale, chiamandola “piadina romagnola”. Come aveva sempre fatto. Ma da circa un anno la piadina romagnola è stata registrata come marchio Igp e quindi usare quel nome senza autorizzazione è diventato un reato. “Come dobbiamo chiamarla, piadina olandese?”, dice sconsolato Sauro Rossini alle telecamere di Report, che ieri sera fra un’inchiesta sull’Unità e una su Agon Channel, ci ha infilato anche una piada che resterà sullo stomaco a molti.
Se non puoi vendere come piadina romagnola un prodotto che esce da una filiera che più tradizionale non si può, qualcosa non torna. Eppure “a proteggere gli ambasciatori della nostra tradizione che abbiamo lasciato dentro il padiglione Italia ci sarebbero le denominazioni di origine DOP e IGP che sta per indicazione geografica protetta. Secondo il Ministro delle politiche agricole Martina rappresentano, questi marchi, la punta di diamante del nostro patrimonio agroalimentare e ne abbiamo ben 264, siamo i primi in Europa. Quindi sarebbero proprio questi marchi a tutelare l’eccellenza del Made in Italy, ma è davvero così?”, si è domandato il programma condotto da Milena Gabanelli. E lo svolgimento è stata una vera e propria demolizione del marchio affibbiato alla piadina romagnola.
“L’Igp l’hanno chiesta gli industriali della piadina”, spara Gianpiero Giordani della Confesercenti Cesenate, che è anche responsabile dell’associazione per la valorizzazione della piadina romagnola (quella dei chioschi). “L’IGP, come l’hanno fatta qua, è stata fatta solamente per l’industria, richiesta dall’industria e confezionata per l’industria”. Fuoco alle polveri, peraltro già accese da tempo e con l’appoggio di Slow Food, che col suo fondatore e presidente Carlo Petrini ha in passato sostenuto che “quando una Igp o una Dop non proteggono il prodotto che davvero ha un legame con la storia e le tradizioni di un territorio, allora l’utilizzo di questi strumenti, che la legislazione europea mette a disposizione, è scorretto e lesivo della leale concorrenza”.
In realtà il servizio ha mostrato che anche fra gli industriali della piadina non mancano i delusi. Se usi il lievito di birra, anziché quello chimico … sei fuori! Direbbe Flavio Briatore. Come ha raccontato il responsabile della CRM di Modena.
Report ricorda che la piadina romagnola il suo IGP l’ha ottenuto di recente ma ad andare a leggere il disciplinare si scopre che “non è necessario indicare la provenienza della farina, dello strutto e dell’olio di oliva, che non è manco detto che sia extravergine, e poi si può imbustare aggiungendo un po’ di alcol, e pure surgelare, che così dura anche 12 mesi”. Fra le voci che protestano ce n’è anche una a Rimini ed è quella di Sergio Gnassi, fratello del sindaco, che gestisce “Nud e Crud”: “Invece di tutelarmi, adesso come adesso, questo marchio mi scredita: nella ricetta della nostra piada noi ad esempio aggiungiamo un pizzico di latte che non è contemplato dal disciplinare dell’IGP, quindi dovrei stravolgere la mia ricetta per poter rientrare nell’IGP”. Il paradosso, lo incalza Report, è che alla fine potrebbe succedere che uno apre un chiosco qua accanto, si compra la piada al supermercato e la riscalda e basta, e lui è IGP e te no. “Il marchio Igp come specchietto per le allodole”, commenta Gnassi.
La piadina romagnola Igp ha avuto l’onore di Expo, dove sta riscuotendo un buon successo, ma adesso ha anche l’onere di uscire dall’angolo.

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