Reclusi in casa in attesa dei tamponi che ritardano

Reclusi in casa in attesa dei tamponi che ritardano

Il caso di una famiglia riminese colpita dal covid-19 e che ha scrupolosamente osservato la quarantena senza mettere un solo piede fuori di casa. Ma dopo 25 giorni si sente ancora rispondere dalla sanità pubblica che bisogna attendere, perché in fila per essere sottoposti ai test ci sono molti cittadini alle prese con lo stesso problema.

Una famiglia con il coronavirus, fortunatamente senza gravi conseguenze e dunque senza la necessità di ricovero in ospedale. Sono tanti i casi di questo genere. Succede anche a Rimini, dove un nucleo familiare vorrebbe tornare alla normalità ma non può farlo. Non perché ci siano ancora le avvisaglie del terribile virus, ma per ragioni di “ingorgo”. In pratica, per decretare la fine della quarantena occorrono due tamponi, ma ottenerli non è uno scherzo: “Non ci fanno i test di controllo, perché dal servizio sanitario pubblico dicono che bisogna aspettare, non riescono a stare dietro a tutte le richieste, e nel frattempo non possiamo uscire di casa, siamo come sequestrati“, dicono le persone coinvolte.

La famiglia in questione ha anche un buon motivo per reclamare i tamponi: deve accudire una anziana che vive sola e fino a quando non ha la “patente” di avvenuta guarigione non può farlo.

Andiamo con ordine nel raccontare questa storia. I sintomi del coronavirus li hanno avvertiti: tosse e febbre fino a 38,5. Bisogna aggiungere che un componente della famiglia era venuto in contatto con una persona poi ricoverata per covid-19. Il consulto telefonico col medico di famiglia li ha classificati come “colpiti” dal virus, ma fortunatamente niente di più, e col passare dei giorni i sintomi si sono affievoliti fino a sparire. Essendo però risultate positive al covid-19, queste persone devono osservare in maniera ferrea la consegna: vietato mettere i piedi fuori dalle quattro mura domestiche, pena tutte le conseguenze del caso, fino alla denuncia, se beccate in giro (imputazione per lesioni personali volontarie e pure l’omicidio doloso). Non si scherza, giustamente.

Ma se la quarantena si protrae oltre il dovuto? I riminesi ancora segregati hanno già trascorso un lungo isolamento (20-25 giorni) e non mostrano più i sintomi della infezione respiratoria. “Capiamo la situazione, ma non è molto giusto che si debba continuare a vivere in prigione, per di più con l’esigenza ormai inderogabile di assistere un familiare anziano che abita da solo, perché chi di dovere non è in grado di effettuare i tamponi, noi non possiamo permetterci di attendere un altro mese in queste condizioni”, spiegano. E ovviamente i ritardi non sono dovuti a negligenza ma perché tanti riminesi si trovano nella stessa situazione e devono sottoporsi a tampone.

Il problema è che questi benedetti tamponi al momento possono farli solo le strutture sanitarie pubbliche. Così come i test sierologici sono partiti su larga scala anche in Emilia Romagna ma, sempre per ora, solo per il personale sanitario, come ha spiegato nei giorni scorsi il commissario regionale all’emergenza coronavirus Sergio Venturi. I test sierologici sembrava che dovessero essere autorizzati nei laboratori privati riminesi ma poi tutto è rientrato. Non è escluso che nei prossimi giorni qualcosa possa accadere da questo punto di vista, anche perché è allo studio la scelta dei target di popolazione su cui effettuare i test sierologici su larga scala, come ha spiegato il presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli: “Stiamo definendo il dimensionamento campionario tenendo conto di vari criteri, tra cui quello dei profili lavorativi in relazione alle attività”. E le attività sono le cosiddette strategiche, in vista della fase 2, ovvero della riapertura graduale.

Tamponi o test sierologici, l’importante è che il collo di bottiglia del servizio sanitario non finisca per strangolare chi vorrebbe semplicemente riprendere a vivere, seppure con tutte le precauzioni e le attenzioni dettate dalla pandemia.

Fotografia: Pixabay (Fernando Zhiminaicela)

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