Lettera: “Rimini città della dolce vita? Parliamone”

Lettera: “Rimini città della dolce vita? Parliamone”

Figurarsi se a Rimini non siamo autorizzati a lasciarci prendere la mano dagli addobbi in tema felliniano. Come a Bologna hanno fatto con Lucio Dalla e quest'anno con Cremonini. Ma mentre gli emiliani illuminano le loro strade con brani di canzoni, palazzo Garampi, un tantino megalomane, si incensa come città della Dolce Vita. "A Natale puoi" assicura la pubblicità. O no?

Dopo “Rimini città d’arte”, è il turno di “Rimini città della dolce vita”, in entrambi i casi stiamo parlando di una città in cui, di fatto, non esistono quelle peculiarità. E ciò non solo fa comprendere che chi ha legato Rimini all’arte non sa cosa sia una vera città d’arte, ma lo stesso poi non sa neppure cosa realmente sia stato il fenomeno della “Dolce vita”, e neppure si è preso la briga di andarsi a cercare notizie e immagini di quel periodo e del suo stile di vita.
Colui, o coloro, dimenticano che la città si fregia sempre di comparire nei primi posti, ora al secondo dopo Milano, nelle annuali classifiche dell’indice di criminalità, e solo al ventesimo posto in quella della qualità della vita. Poi basta muoversi nel Centro per toccare con mano il degrado in cui concorrono schiamazzi e balordi notturni, venditori abusivi e mendicanti molesti, e negozi di bassa qualità merceologica.
Si aggiunga inoltre il traffico caotico di una viabilità il cui problema non è mai stato affrontato seriamente nel suo insieme con un vero piano organico, ma con interventi estemporanei scollegati tra loro frutto di un “fai da te” che oggi non è più pensabile. Senza parlare poi dei cosiddetti “eventi”, specie estivi, tutti a tema alcolico e di baccano insensato che, oltreché dannosi e superati, inibiscono la mobilità e la fruizione a residenti e turisti le zone più pregiate della marina.
In ultimo, l’insensato attacco ai monumenti cittadini fino a fargli perdere la loro originaria identità, il cui culmine è Castel Sismondo con il suo lugubre edificio ad uso bar proprio a ridosso.
È questa quindi la dolce vita? Bastano davvero alcune scritte luminose e tre inutili simulacri di palloni aerostatici, per convincere che questa è la città della dolce vita? Ma purtroppo ormai siamo abituati agli slogan e agli “effetti speciali” garampiani, volti sempre più a convincerci che si sta attuando il meglio rispetto al resto del Paese e non solo, anche se poi i predetti dati, e quelli delle presenze turistiche e la qualità del turista stesso non coincidono con quell’asserto.
Invito a vedere la mostra nella Galleria dell’Immagine della Biblioteca Gambalunga “Rimini, cos’è”; le immagini che scorrono cronologicamente dall’800 in poi fanno capire realmente cos’è stata Rimini in passato e come è divenuta oggi. Da luogo frequentato da un turismo raffinato e dalla vera dolce vita degli anni ’60, passando dall’inizio del decadimento ai giorni odierni, si potranno trarre tante considerazioni e riflessioni lontane dalla grancassa garampiana. Ho provato amarezza, ma non per nostalgia, solo per avere assistito ad un’incapacità amministrativa così tenace da avere raggiunto il risultato attuale. E, forse, qualcuno come me capirà che fellinizzare la città non è una soluzione di rilancio che, ad onor del vero sempre dagli spot istituzionali, sarebbe dovuta iniziare già dall’apertura del Fulgor prima e dal Teatro Galli poi.
A proposito; in occasione della prima serata della Norma, in teatro era presente il Maestro Muti in platea tra gli spettatori. Non mi pare che a ciò sia stato dato il giusto risalto, a meno che non me lo sia perso e nel caso chiedo venia, al contrario di tanti altri pseudo artisti che transitano per Rimini. E ciò, credo che, come dire, la dica lunga.

Salvatore De Vita

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