Questa zona di Rimini si è fortemente trasformata rispetto al passato. Non è più popolata dalle casette dei marinai, ma sopravvive un luogo che racconta uno dei tratti distintivi più legati alla tradizione della nostra città. Oggi è un ristorante, che però continua a seguire i ritmi di un tempo andato.
Sembra proprio che Rimini ce l’abbia messa tutta per scordarsi della sua identità, diciamo in molti campi specie in quello della cultura, magari in nome di una presunta modernità sospinta da amministratori a digiuno di quei valori, se non come di recente animati da bizzarrie e dalla presunzione di potere e sapere riscrivere la storia.
In questo contesto è cambiato il tessuto sociale, il modo di socializzare e i luoghi deputati a ciò sono stati soppiantati da altri tutti omologati tra loro, anonimi, senza nessuna vera peculiarità nella vana ricerca di un qualcosa che li possa distinguere e inseguendo la moda del momento; in una parola senz’anima. Chi, come il sottoscritto, ha vissuto una parte quel passato, o gli è stato raccontato, sa bene di cosa si stia parlando.
Ma in questo panorama piuttosto appiattito qualcosa ancora resta a testimoniare un mondo che non c’è più. È una storia riminese che viene da lontano, in quel microcosmo che era la riva sinistra del Porto Canale, sponda poco conosciuta e altrettanto abitata rispetto alla storica dirimpettaia.
Inizialmente, come mostrano le mappe cittadine della fine del 1800, la zona era ancora inedificata. Poi all’inizio del secolo successivo la situazione inizia a cambiare, e nella parte terminale verso l’attuale cantiere navale vengono costruiti magazzini ad impiego commerciale. Demoliti in seguito, i terreni vengono lottizzati e si costruiranno quelle casette in fila che si possono vedere tuttora.
Abitata da marinai di cui ancora se ne legge, seppure raramente il soprannome, fuori dalle casette ristrutturate di quella fila, ma anche da operai della fonderia e dello squero, termine veneto per un’infrastruttura nautica che permette di tirare in secca le piccole imbarcazioni per svolgere lavori di manutenzione, quali ad esempio la pulizia e la pitturazione della carena. Tanto per ricordare l’antico rapporto tra la Serenissima e Rimini. Vi era pure una fabbrica di birra, e una bottega che come usava allora vendeva di tutto, dai tabacchi agli alimentari passando per altre molteplici categorie merceologiche.

Veduta della riva sinistra del Porto, presa dalla parte destra. Riproduzione di una cartolina del 1910 circa (?). Archivio Fotografico della Biblioteca Gambalunga di Rimini.
E in questo contesto esisteva un luogo di aggregazione per quel mondo, costruito specificamente fin dall’inizio e destinato a quel ruolo, nell’ultima posizione della fila di piccoli edifici prima di arrivare al predetto piccolo cantiere navale.
Oggi in quelle casette non abitano più i pescatori, e parte della zona finale è presidiata dalla Guardia Costiera e di Finanza, ma resiste quello che era l’antico luogo di socializzazione, seppure con funzioni leggermente diverse. Nel tempo quella via è stata oggetto di tanti cambiamenti come ad un certo punto la comparsa di un ristorante con annessa sala giochi e night, oggi fortunatamente spariti nel nulla, ma solo un’antica osteria ha resistito sebbene adeguatasi ai tempi. Parliamo dell’attuale Ristorante L’Ancora.

L’attuale Ristorante L’Ancora in una fotografia di Josip Ciganovic tra il 1950 -1955, scattata dalla riva destra. Archivio Fotografico della Biblioteca Gambalunga di Rimini.
Nella struttura nata intorno agli anni ’20 del secolo scorso, in origine si esercitava una doppia funzione nettamente separate seppure della stessa gestione; quella di drogheria e osteria, attività entrambe protrattesi sino agli anni ‘70.
Era un’osteria a tutti gli effetti, compreso il retrostante campo per il giuoco delle bocce, così si racconta, molto frequentata dagli abitanti di quella riva e protagonista di spensierate serate danzanti, con musica improvvisata dagli stessi frequentatori. Una sana parentesi dopo le dure attività lavorative.
Orchestrine estemporanee dicevamo, nessuna regola circa l’abbigliamento, ma tanto e vero divertimento.

Particolare della precedente fotografia, in un pomeriggio d’estate. Da notare la soavità del momento in cui una bimba in costume da bagno siede su di una bitta, mentre due avventori dell’osteria conversano seduti ad un tavolino, immagino, sorseggiando qualcosa di fresco, ed accanto le loro biciclette. E la Topolino parcheggiata dinnanzi l’ingresso della drogheria, completa la scena.
Poi dopo varie vicissitudini vennero gli anni ’70, e precisamente il 1979 quando il locale destò l’attenzione di Luigi Urbinati. Corianese di nascita, Luigi era cuoco di professione e durante la sua precedente carriera aveva prestato la sua attività presso importanti Hotel dell’epoca, ma anche di montagna durante la stagione invernale.
Luigi credette subito in quel locale tanto da volerlo acquistare, ma vicende contingenti del momento dapprima non glielo permisero; lo prese quindi in affitto per poi acquisirlo definitivamente, coronando il suo sogno. Nel frattempo aveva conosciuto Severina, originaria di Ponte di Legno e che si trovava in riviera per lavoro, e si sposarono.
Una volta subentrati in quell’attività economica unirono i locali delle due unità, drogheria e osteria in un unico ambiente, e costruirono la cucina.
In seguito, sebbene ristorante, continuarono anche l’attività di osteria data la richiesta di un’utenza di una certa età ed abitudine; ma quando essa venne meno, proseguirono solo con il ristorante sebbene sia rimasta tuttora la vecchia insegna indicante anche il bar. Erano tempi quelli in cui la parola osteria era decaduta, e con la modernità divenuta quasi sinonimo di un locale derelitto.
Alcuni oggetti si conservano ancora della precedente attività; la bilancia del sale e il registratore di cassa.
Nella scaffalatura vecchie bottiglie di liquori ormai non più in produzione, o quasi, e le anfore artistiche ripiene di improbabili alcolici molto presenti e vendute in riviera specie negli anni ’60.

1956. Un’allegra ed informale serata danzante.
Il ristorante è sempre stato gestito in modo familiare dai proprietari stessi, ed in seguito con l’aiuto della figlia Augusta.
Nel tempo però Luigi ebbe problemi di salute, e Severina prese ottimamente in mano la cucina.
Nel 2016 Severina mancò, ma nel frattempo la figlia Augusta aveva bene imparato il mestiere e si mise ai fornelli; da aiutante a cuoca ma non solo, perché doveva pure provvedere al servizio in tavola, all’approvvigionamento ed al resto che la gestione richiede.
Ma anche in questo caso la passione veniva da lontano sia per amore che, a volte, per forza. A tal proposito Augusta ama ricordare che quando da adolescente commetteva qualche mancanza, veniva “rieducata” dovendo pulire vari chili di sardoncini o altre affini necessità. Poi nel 2020 mancò anche il padre Luigi.

Anni ’80. Allegri momenti conviviali al Ristorante L’Ancora. In basso a destra la proprietaria signora Severina Franetti.
Oggi Augusta prosegue la tradizione e la filosofia dei genitori, gestendo da sola quest’attività che va dall’approvvigionamento del pesce, rigorosamente fresco acquistato al Marcato Coperto locale, alla cucina ed al servizio ai tavoli.
La cucina è quella tramandata dai genitori, semplice, ben curata come tradizionalmente si usava nelle trattorie a conduzione familiare di un tempo. Il pesce è quello locale e di stagione lontano da esemplari di tutt’altra provenienza, con la caratteristica della mancanza di un menù fisso ma per l’appunto variabile ed anche su commissione rispettando però quelle importanti premesse: la freschezza e la stagionalità.

L’Ancora si fregia del marchio di “bottega storica”.
La clientela è quasi tutta locale ma anche proveniente in certi casi dal territorio emiliano, fidelizzata con la qualità e acquisita con il “passaparola”.
Non avventori dell’ultimo minuto quindi, perché la spesa la si fa in base alle prenotazioni e niente più, con il conseguente diniego agli eventuali frequenti di passaggio. Non è una questione stravagante, ma motivata da quella sana regola.
Infine la posizione al termine della via Sinistra del Porto, ove poi la strada termina, che si apprezza specie nelle belle sere d’estate lontano dal caos e dalla chiassosità che ormai caratterizza questa città per chi, ovviamente, sa ancora bearsi di quest’aspetto del buon vivere difficile da trovarsi altrove in una Rimini che non c’è più.
E in quelle occasioni cenando nella corte antistate al locale, oltre a gustare l’ottimo cibo e l’ospitalità di Augusta, si potrà nel silenzio e nella quiete, assistere al transito dei pescherecci che escono dal porto per le loro missioni notturne, scivolando sull’acqua. Spettacolo unico ed impagabile, sempreché gli si sappia dare il giusto valore.
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