In attesa di capire le reali intenzioni dell'amministrazione comunale (e si spera che anche la Soprintendenza batta un colpo) sulla apertura nel muro a scarpa del palazzo interno al castello, il prof. Rimondini puntualizza cosa si debba intendere per "falsa porta".
L’intervento di Giulio Zavatta, che ha studiato e pubblicato le piante cinquecentesche del castello, dà un fondamento storico scientifico all’indagine su quel punto di Castel Sismondo, un palinsesto che parte dal Quattrocento, che comprende il vano che vogliono aprire. Gli interventi di questa amministrazione distruggono allegramente muri medievali, come del resto è già successo con il muro trecentesco del porto, vicino al ponte di Augusto e Tiberio, ‘bucato’ proprio su una porta trecentesca chiusa dell’impianto portuale malatestiano.
Ho scritto che il buco che vogliono fare sulla scarpa dell’edificio interno di Castel Sismondo aprirebbe una “falsa porta”. “Falsa porta” è un termine tecnico-storico che ha tre significati, due archeologici. Si chiama “falsa porta” la porta dipinta o scolpita delle tombe egiziane, che simbolicamente significa un passaggio al mondo dei morti. Nell’archeologia etrusca la “falsa porta”, dipinta nelle tombe, ha lo stesso significato simbolico e secoli dopo continua nelle “false porte” o “porte dei morti” umbre. Poi c’è il significato tecnico ossidionale, che è spiegato anche in molte voci su Internet. Ogni castello europeo aveva una “falsa porta”, la porta secondaria o di soccorso più o meno nascosta, da utilizzare per far entrare armati, inviare messaggi, o per fare sortite contro gli assedianti. Spesso queste “false porte” erano collegate a “passaggi segreti”.
I PASSAGGI SEGRETI DI CASTEL SISMONDO
Castel Sismondo aveva passaggi segreti ossia, come scrive Roberto Valturio, “Abditos specus“, sotterranei segreti per introdurre armati, che sono stati effettivamente individuati proprio vicino alla “falsa porta” e che potranno essere scavati e valorizzati solo quando il castello non sarà più usato come “contenitore” di ciaffi felliniani.
Si tratta di strutture complesse, assai probabilmente connesse con i condotti della fontana di piazza. La fontana di piazza, forse antica, ma duecentesca nella parte più antica del suo palinsesto, doveva essere stata eretta al centro della piazza del Comune e il suo condotto scendeva dalla sorgente diritto fino al centro della piazza del Comune. Quando Sigismondo Pandolfo scavò il grande fossato del suo castello interruppe in due punti i condotti duecenteschi o più antichi, che attraversavano l’area del castello, e probabilmente li fece spostare dietro il contromurale verso l’Arco, insieme cambiando l’ubicazione della stessa fontana, dal centro su un lato della piazza. Se questa ipotesi è vera, al centro della piazza comunale, che andava dal teatro alla statua di Paolo V, scavando a due o tre metri di profondità si dovrebbero trovare la corona degli scalini della fontana, o quello che ne rimane. Nell’800 il condotto della fontana venne ricostruito all’interno della controscarpa con un passaggio voltato tuttora esistente.
Espongo delle ipotesi, dato che non conosciamo con indagini di scavo lo spazio favoloso che si nasconde sotto il castello.
Forse Sigismondo Pandolfo sfruttò i vecchi condotti smessi della fontana di piazza, collegandoli con le difese interne e con l’esterno. Un simile impianto di passaggi segreti è testimoniato nel ‘300 dalle cronache alla sinistra della porta Montanara, collocato nella fossa Patera, che entrava nelle mura bloccata da un’inferriata. Il passaggio lungo la fossa era collegato con le cantine della casa dei Faetani, una famiglia di notabili fedelissimi dei Malatesta.
LA “FALSA PORTA” DI CASTEL SISMONDO, UN’IPOTSI PROVVISORIA SULL’ USO
La “falsa porta” di Castel Sismondo, però non è quella dell’esterno del castello, ma del recinto interno. Una lotta all’ultimo momento col nemico arrivato dentro le mura del primo recinto è pensabile in questo ed in altri castelli malatestiani, come quello di Senigallia, per il fatto che nel castello ci sono cannoniere per piccoli cannoni che sparavano in spazi dentro le rocche. Non so fino a che punto fossero efficaci al momento della prova queste strategie dell’ultimo momento, perché di solito vediamo che una volta entrati dentro le mura i nemici, i difensori erano subito paralizzati dal panico. Si vedano del resto anche le critiche di Niccolò Machiavelli contro la compartimentazione delle rocche. Certamente un cantiere di archeologia medievale, sloggiato, ripeto, l’assurdo museo Fellini – il terzo museo dedicato a Fellini di un folle progetto di fellinizzazione di Rimini – potrebbe trovare il vero significato di questa particolare strutturazione che ho proposto di chiamare la “falsa porta”.

Gaetano Stegani, pianta di Castel Sismondo (1788 c.)
Questa articolazione o “falsa porta” è testimoniata per la prima volta disegnata ‘chiusa’ nella pianta acquerellata di Gaetano Stegani, architetto bolognese residente a Rimini dal 1759, elaborata per incarico del D’Agincourt, un gentiluomo francese che per primo cominciò ad interessarsi di arte medievale italiana ed europea, mentre in una pianta del 1844 che doveva servire alla trasformazione della rocca in prigione, si vede sì il vano ma la “falsa porta” è chiusa. Nell’800, caro Piscaglia, lì non c’era un passaggio aperto.
CITTÀ E CASTELLI PRESI ATTRAVERSO LA “FALSA PORTA”
Per limitarci al tempo di Sigismondo Pandolfo, gli storici ci attestano che Costantinopoli fu conquistata dai Turchi attraverso una “falsa porta” il 29 maggio 1453.
Scrive lo storico bizantino Ducas: “da alcuni vecchi fu mostrata una porta sotto terra chiusa da molti anni e stata nascosta sotto il palazzo imperiale nei pressi della Xiloporta nel perimetro cioè del ‘pomerio’ (la strada interna sotto le mura di Teodosio). In quei giorni l’imperatore la fece aprire e per questa porta i giovani uscivano segretamente a combattere contro il nemico…Ma la volontà divina che aveva disposto di perdere la città, indirizzò i Turchi per la via della porta segreta che sopra abbiamo detto era stata aperta.” La porta era custodita, ma i Turchi erano in numero soverchiante ed eliminarono i difensori, poi entrarono e presero alle spalle i difensori delle mura.
Un altro esempio quattrocentesco, non reale, ma assai probabilmente inventato da un cronista favorevole ai Malatesta di Pesaro, riguarda un tentativo delle truppe di papa Eugenio IV che volevano prendere il castello e la rocca di Gradara a Pandolfo Malatesta, arcivescovo di Patrasso. Il furbo e coltissimo prelato – che come Giacomo Leopardi aveva due gobbe, una davanti e una dietro – avrebbe mandato un falso traditore ad avvertire i guerrieri pontifici che potevano entrare nella rocca per una porticina segreta da lui conosciuta. I pataca papalini sarebbero caduti nella trappola e una volta entrati, il falso traditore avrebbe chiuso la porta e dentro ad aspettarli c’erano i guerrieri dei Malatesta. Per la “falsa porta” di Verucchio, sospesa sullo strapiombo, nel 1463 entrarono nella rocca del Sasso gli uomini di Federico da Montefeltro, dopo che il castellano era stato avvisato da una falsa lettera dell’arrivo di rinforzi.

Anonimo del 1844, Progetto per la riduzione in carcere di Castel Sismondo
Infine è sempre giusto quello che Angelo Turchini e Carla Tomasini Pietramellara scrivono in premessa di Castel Sismondo e Sigismondo Pandolfo Malatesta (Ghigi 1985) e cioè che “il celebre Castel Sismondo cantato dagli umanisti, si presenta con le caratteristiche di un complesso edilizio più volte manomesso, con destinazioni d’uso differenti, a seconda degli interventi voluti dai vari possessori.”
E’ proprio per questo, per il fatto cioè che ogni “destinazione d’uso” diversa da quella originale provoca delle distruzioni e dei disastri, che non bisogna cambiare al castello la destinazione d’uso che possiede, quella di essere il museo di se stesso, anche proprio per evitare ulteriori distruzioni. Tuttavia i due autori affermano anche: “Non ci si lasci impressionare dalla suggestione, del tutto apparente di un castello ridotto a rudere: quel complesso mostra molto chiaramente uno stadio dell’evoluzione castellana all’inizio dell’età moderna, cui operazioni di maquillage (trucco o ritocco) non hanno aggiunto né tolto nulla.”
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