Ricordate il vecchio brano di Angelo Branduardi? «Sotto il tiglio là nella landa, là dov'era il nostro letto...». Ecco, di poesia qui ce n'è davvero poca, ma il tiglio c'entra eccome. Ce ne siamo occupati a più riprese, da ultimo il 2 settembre. Qualche giorno fa anche l'appello delle associazioni ambientaliste, che ha minacciato un esposto per danno ambientale. Nulla è servito.
In vari articoli del nostro giornale abbiamo narrato della strage degli “innocenti”, in questo caso tigli, nel filare lungo la via Bramante sacrificati al progresso materializzato come l’ennesimo supermercato che, ovviamente, a Rimini mancava; ma soprattutto in quella zona, tanto per aggravare la situazione data dal traffico già assai congestionato.
Nell’ultimo (qui) si prevedeva l’abbattimento di un ulteriore tiglio poiché, guarda caso, si era trovato suo malgrado nel mezzo di un raccordo di piste ciclabili o pedonali che siano. Strano destino per quella pianta; essere stata messa a dimora a suo tempo, per poi finire sacrificata così malamente, nonostante vi fossero concrete soluzioni per potere creare quel crocicchio a pochi metri di distanza.

Il tiglio com’era e, purtroppo, non è più.
Non era difficile ipotizzarne la fine, non serviva il Divino Otelma, perché siamo a Rimini dove “tutto si immagina”, e specialmente ormai si conosce ciò che è accaduto e accade alle alberature cittadine. In questo caso si è agito con “cautela” lasciando per lungo tempo la povera pianta con le radici scoperte, poi bistrattata – forse – da mezzi d’opera del cantiere, ed infine fatta sparire frettolosamente. In pratica una lunga agonia.
Ma torniamo alla parte più bizzarra del caso. Due giorni fa giungeva in redazione un comunicato stampa (si può leggere in fondo) del “Coordinamento associazioni ambientaliste del riminese”, peraltro inviato a tutti i quotidiani locali, in cui si denunciava lo stato in cui versava il povero albero in questione, che allora era ancora in piedi seppure malandato, come le fotografie di cui sopra dimostrano agevolmente. Ma, come vedremo, non c’è stato neppure il tempo di inquadrare la situazione.
Nella nota delle associazioni ambientaliste, dal titolo eloquente, “Una pianta molto molto sfigata, al Parco Fabbri”, la storia. Probabilmente dopo il nostro predetto articolo, l’Associazione ha contattato l’Ufficio Verde del Comune di Rimini significandogli il caso, ottenendo la risposta che “il progetto sarà modificato e l’albero salvato”. Sembra di tornare indietro nel tempo per gli alberi secolari abbattuti nell’allora Piazza Malatesta, ora “degli incubi”. Stesse rassicurazioni, stesso triste finale.
Ma proseguiamo. Passa l’estate e la povera pianta resta tutto il tempo con le radici scoperte, esposte al sole ed alla siccità. Chissà, avrebbe potuto togliere il disturbo al radioso progresso, invece non molla e sopravvive l’ingrata. Si sa, i tigli sono molto dispettosi.
Allora si passa ad una “potatura creativa” tipica della tradizione locale, ma anche qui nulla; la pianta è ancora al suo posto. L’Associazione torna alla carica dell’Ufficio Verde del Comune che risponde: “La ditta incaricata dei lavori di collegamento fra ciclabile e Via Bramante ha sbagliato ed ha tagliato radici importanti della pianta, per cui sarà multata”, gli spiegano; quando si dice il caso …. Brrr che severità!
Infine una formale richiesta di salvataggio dell’albero, e l’epilogo. Neppure il tempo di pensare e nonostante la tenacia della pianta, oggi essa non esiste più e una colata di cemento ha preso il suo posto. Concretizzandosi così il solito copione riminese, di una giunta tradizionalmente contraria al mattone sì, ma solo in teoria. E ciò nonostante il chiaro avvertimento nel finale della lettera che così recita: “Ci riserviamo poi (il Coordinamento delle Associazione ambientaliste, ndr) di valutare la possibilità di un esposto per danno ambientale nei confronti dei responsabili, specie nel caso l’albero venga tolto”. Vedremo pertanto se alle parole si sostituiranno i fatti.

Tiglio abbattuto.
I buoni progetti nascono sempre tenendo conto della situazione circostante, e per questo si chiamano “sostenibili” e non è l’ambiente ad adattarsi a loro. Ma quello che più rammarica sono i teatrini per giustificare situazioni del genere, con affermazioni del tipo “il progetto sarà modificato” o “la ditta … ha sbagliato …, per cui sarà multata”, perché forse qualcuno pensa che vi siano ancora in giro nutrite schiere di creduloni pronti a sciropparsi storielle simili.
Un progetto, prima di divenire operativo, passa al vaglio dei competenti Uffici comunali per cui è noto a tutti ciò che si andrà a realizzare una volta che questi abbiano dato l’approvazione. Ed è pur difficile che un progettista non sappia che nel centro di un camminamento da lui pianificato vi sia una pianta anche di una certa importanza.
Ma è anche vero che in corso d’opera si possono attuare varianti, se le si vogliono porre in essere e se vi sia la volontà. E quelle risposte lasciano un dubbio: ma chi le rende sa di cosa parla o, al contrario servono solo a rassicurare in attesa di un epilogo già irrevocabilmente determinato? Aspetti apparentemente dissimili, ma legati da un’unica comune caratteristica, la cosiddetta “presa in giro”.
E dire che dopo un decennio di autoreferenzialità, questo doveva essere il governo del dialogo; ma che anche questo appartenga alla poc’anzi descritta caratteristica?
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